Ciao, questa newsletter esce una settimana prima del 30° anniversario del massacro delle persone musulmane di Bosnia a Srebrenica. È l’occasione per ragionare su questi temi, perché è un passato che ritorna e che scava dall’interno delle società nuove crepe.
Come ragionare su questi temi? Innanzitutto come Fondazione Diritti Umani, insieme a Human Hall-Unimi, abbiamo voluto dare il nostro piccolo contributo all’evento milanese che ricorda il genocidio di Srebrenica: lunedì 7 luglio, dalle 21.30, al Beltrade proiezione del film “I diari di mio padre” di Ado Hasanovič. Prima del film le docenti della Statale Chiara Ragni e Martina Buscemi forniranno il contesto storico; dopo la proiezione il regista e il musicista Iosonouncane risponderanno alle domande di Matteo Marelli di Film Tv e del pubblico. Non mancate.
Perché Srebrenica ci riguarda? Perché è un pezzo della nostra storia. Ma proprio nostra, europea.
Immagino che qualcuno segnerà questa affermazione con la matita blu: la Bosnia non è Europa. Sì, formalmente non lo è, ma i punti che uniscono l’attuale Unione Europea a quel pezzo dei Balcani sono tantissimi. Alcuni sono storici: era un pezzo dell’Impero degli Asburgo fino ad un secolo fa, a Sarajevo scoccò la scintilla della Grande Guerra con il regicidio di Francesco Ferdinando.
Può essere una buona occasione andarvi ad ascoltare i podcast di Autista Moravo. E se siete a caccia di curiosità sappiate che c’è pure una comunità di immigrati trentini che vive lì da oltre un secolo.
Srebrenica ci riguarda anche perché l’Europa lasciò che avvenisse la dissoluzione della Jugoslavia senza muovere un dito. In generale e nello specifico. Su la Lettura di domenica 20 giugno lo storico dell’Università di Padova Egidio Ivetic utilizza le parole giuste:
“Oggi è chiaro che le guerre jugoslave non furono un rigurgito medievale, come si scrisse, bensì l’anticipazione del XXI secolo, del mondo attuale sempre più diviso e violento”
Dove potevano aprirsi le crepe dei nazionalismi se non dove la multietnicità era stata cementata da regimi ideologici? In Jugoslavia, dunque. E la Bosnia era la piccola Jugoslavia nella grande Jugoslavia.
Ma Srebrenica riguarda l’Europa anche nello specifico. Quel genocidio è avvenuto perché i caschi blu olandesi che dovevano difendere la popolazione musulmana della zona, di fatto si arresero all’avanzata dell’esercito e dei mercenari serbi, consegnando ragazzi e uomini ai tagliagole di Mladic.
In questo frame famosissimo c’è tutto: Mladic, i suoi guardaspalle, la carezza al bambino di Srebrenica poco prima che i suoi parenti vengano trucidati, i “caschi blu” con la scritta UN che assistono senza muovere un dito…
Infine quel massacro di trent’anni fa ci riguarda perché oggi possiamo ragionare, senza le censure del nostro tempo, su cosa significhi genocidio, come si è arrivati a questa definizione del massacro di Srebrenica, che ruolo può avere la giustizia internazionale. Ne abbiamo parlato con Chiara Ragni, che insegna diritto internazionale alla Statale di Milano.
La prima domanda è perché si parla di genocidio.
Nel caso dei crimini commessi nella ex Jugoslavia c’è voluto un Tribunale ad hoc internazionale per processare i responsabili. Si può discutere di come ha funzionato, ma un dato è innegabile: in quel contesto di massacri e vendette sarebbe stato impossibile procedere a processi imparziali a Belgrado o a Zagabria. Sentiamo ancora la professoressa Chiara Ragni della Statale di Milano.
Il generale Mladic è stato l’ultimo condannato dal Tribunale speciale per i crimini commessi nell’ex Jugoslavia. Da quando ha aperto, nel 1993, ha processato 161 persone, capi militari e leader politici delle fazioni che si sono combattute. 103 condanne, oltre la metà a lunghe pene, 19 le assoluzioni. Tra i condannati il 70% erano serbi, il 20% croati, il 10% bosniaci.
Infine: perché abbiamo intitolato questa newsletter “Il quarto genocidio europeo”? Perché a quello del popolo armeno, occorre aggiungere quello degli ebrei, dei rom e sinti, fino ad arrivare, appunto, a quello dei musulmani bosniaci.
I conti con l’attualità di questi giorni fateli voi.
il reportage
Ogni settimana arte.tv ci offre questa possibilità di accedere ad uno dei loro reportage di ottimo livello. Continuiamo ad approfondire le ferite lasciate dalle “guerre contro i civili” - definizione di Kanita Fočak, perfetto esempio della multiculturalità di Sarajevo - che si sono combattute nella ex Jugoslavia. La vita in quei territori prosegue con ben altre urgenze: in Serbia, malgrado gli arresti, prosegue la lotta degli studenti contro la corruzione governativa, la Croazia ha introiettato l’idea di essere il baluardo europeo contro l’immigrazione dal Sud del mondo, il Kosovo ribolle… Buona visione.
dedicato a alex langer
Questa newsletter è dedicata a Alex Langer. Proprio 30 anni fa, nel mezzo del macello jugoslavo, decise di togliersi la vita. Cercare le ragioni di un suicidio è sempre difficile e può sembrare irrispettoso. Ma Alex, figura straordinaria di intellettuale, pacifista, ambientalista ante litteram, obiettore etnico (si rifiutò di definirsi italiano, tedesco o ladino nel censimento altoatesino) era una figura pubblica che in qualche modo ha motivato il suo gesto: tutto ciò in cui credeva e per cui aveva lottato era crollato a Sarajevo, a Hebron, a Grozny… Il suo ultimo messaggio però chiariva che le brutture del mondo avevano piegato lui, ma ciò non giustificava la nostra inazione: «Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto».
Segnalo questo ricordo di Alex Langer di Fabiana Martini, che fa parte del Comitato Scientifico della Fondazione Langer. Il ricordo è stato pubblicato sul sito di Articolo21.
Non è che l'Europa ha lasciato che il disastro avvenisse: ne è stata attore consapevole, spingendo, finanziando e armando i nazionalismi contrapposti, e mascherando un conflitto politico sotto l'etichetta di "etnico"