Europa? Ok. Ma per farne cosa?
Ciao, mancano due settimane alla prossima edizione del Festival dei Diritti Umani (5/7 maggio) ma le nostre attività, l’avrete capito, continuano tutto l’anno. Perché anche sui diritti rust never sleeps. Ecco la puntata di Rights Now andata in onda lunedì 14 aprile su Radio Popolare. Con Fatima Haidari abbiamo parlato dell’apartheid che colpisce le donne di ogni età in Afghanistan; con i direttori del Film Festival dei Diritti Umani di Lugano abbiamo parlato del prossimo film che vi invitiamo a vedere: From Ground Zero; con Luca Gattuso abbiamo parlato delle scadenze da rispettare per i fuorisede che vogliono votare ai prossimi referendum.
La Liberazione è una festa
Dalle scuole spesso ricaviamo grandi soddisfazioni. L’ultimo caso è stato clamoroso. Basta questa foto a provarlo.
È la festa che ha seguito la posa della targa alla scuola di via Antonini 50. Vi abbiamo già raccontato che quella scuola era stata dal 1943 al 1945 la sede dell’Eiar e da lì, conquistata a colpi di schioppo dalle Brigate Matteotti, partì l’annuncio della Liberazione di Milano. Festa: perché ritornare alla libertà e ai diritti è sempre una festa. I bambini, i genitori, i prof della scuola di via Antonini hanno ascoltato il nostro podcast e si sono ispirati per parlare di libertà. Speriamo che non lo dimentichino mai. Io non dimenticherò mai la radio che hanno costruito per far ascoltare il nostro podcast: è bellissima!
Ci sono stati anche i discorsi ufficiali. Brevi, con tanti accenni all’attualità. Ne abbiamo fatto una sintesi: sentirete nell’ordine Emma Tramacere, dirigente della Scuola di via Antonini, Beppe Sala, sindaco di Milano, Primo Minelli, presidente dell’ANPI provinciale, Cristina Puggioni, presidente dell’Associazione Genitori della Scuola, Andrea Borgnino, responsabile dei contenuti di RaiPlaySound. Buon ascolto!
Europa? Ok. Ma per farne cosa?
È passato poco più di un mese dalla manifestazione pro-Europa del 15 marzo. Verrebbe da domandarsi: chi se la ricorda? A parte ovviamente chi l’ha voluta e chi vi ha partecipato. Ma al di fuori di quel perimetro? Questa irrilevanza non fa piacere, al contrario allarma.
L’invocazione dell’Europa come se fosse un salvacondotto fa molto figo, ma non basta: è l’equivalente di un cornetto tenuto in tasca come amuleto.
Nel recente passato ci sono già state manifestazioni politiche che esaltavano la differenza di posizioni, che avevano un manifesto di convocazione omnicomprensivo, che invitavano ad una partecipazione scialla. E anche queste, alla fine, non hanno lasciato traccia.
Un’amica geniale nel suo lavoro di grafica mi spiegava che c’è la fase divergente, dove devono arrivare più input possibile, a cui segue la fase convergente, che distilla da quel brainstorming il segno, il colore, il claim. Il messaggio, insomma. Più o meno vale anche per la politica.
E questo è il problema. Perché Orban non è Sanchez; perché il green deal o è green o non è; perché l’Alta Rappresentante della Politica estera europea non può svegliarsi ieri e dire che “a Gaza Israele ha superato i limiti della proporzionale autodifesa…
Pierre Hasky, storica firma de “Le Nouvel Obs” recentemente ha scritto che “raramente ho notato un simile sentimento di urgenza e reazione esistenziale, con la sensazione che l’Unione non possa più permettersi il lusso di sbagliare”. Di fronte alla svolta autoritaria statunitense, al collasso delle democrazie, alle guerre che sono le principali nemiche dei diritti l’Europa può essere un porto sicuro? I manifestanti di Roma, quelli di Bologna qualche settimana dopo, perfino Pierre Hasky rispondono che sì, l’Europa potrebbe giocarsi questa carta. Ma ancora una volta questa risposta rischia di essere emotiva. Il primo dubbio è proprio la guerra, il piano ReArm, la Difesa Europea, l’industria bellica.
“Nessuno può sentirsi in pace se oppresso, invaso, sottomesso. Tutti vogliamo la libertà, ma non c’è libertà se non c’è la pace. Niente sospende la libertà degli esseri umani come la guerra”, ha detto dal palco di Piazza del Popolo Michele Serra, lo scrittore che ha lanciato l’idea della manifestazione per l’Europa.
Sottoscrivo. Ma come la mettiamo con il programma ReArm? Se quelle armi restituiscono la libertà agli ucraini tutto bene, ma se servono per sparare sui civili di Gaza? E se attraverso le triangolazioni armi made in Europe finiscono per opprimere, invadere e sottomettere? In vista del prossimo Festival dei Diritti Umani (dal 5 al 7 maggio) abbiamo intervistato Dan Smith, il direttore del Sipri di Stoccolma il più prestigioso istituto per lo studio del mercato bellico. A queste domande Dan Smith risponde in modo interlocutorio. Eccone un breve assaggio:
“Il piano ReArm facilita la difesa europea, rafforza la collaborazione fra eserciti o imprese? Penso che questo piano di riarmo non dia risposte, è una domanda che non trova risposte da mezzo secolo.
Ma ora c’è Trump. L’Europa non può fare più affidamento sugli Stati Uniti per la sua sicurezza, e questo deve incoraggiare una maggiore unificazione europea, anche nello sforzo militare.
La prossima domanda è: “è una cosa buona o cattiva?” Si può rispondere guardando le cose da un altro punto di vista: data l'aggressione della Russia contro l'Ucraina, la soluzione è spendere più soldi?
Generalmente se dirotti un un sacco di soldi su un problema non trovi una soluzione ma inefficienza, spreco e corruzione. Quindi dovremo concentrarci molto di più non su quanti soldi spendiamo, ma su come li spendiamo”.
Ben detto Dan. Alla prossima manifestazione per l’Europa lo chiederemo agli organizzatori.
Il reportage di arte.tv
Il successo delle dittature si misura anche dalla rapidità con cui un caso politico scompare dal discorso pubblico. Basta un ferreo controllo mediatico e un inflessibile apparato repressivo. Volete una prova?
Chi si ricorda il nome del sindaco di Istanbul arrestato meno di un mese fa dalla polizia di Erdogan?
Ve lo dico io: si chiama Ekrem İmamoğlu e da quando è in prigione di lui non si sente più parlare. Eppure il suo partito, il Partito repubblicano del popolo (CHP), era riuscito a portare in piazza migliaia e migliaia di persone. Il reportage che vi proponiamo questa settimana, scelto insieme alla piattaforma europea arte.tv, ci porta tra le sindache della Turchia, per dimostrare che il consenso popolare è un sottile filo su cui cammini sapendo che sarà sempre Erdogan a decidere se farti perdere l’equilibrio.
Facciamo un patto?
Siamo arrivati a 40 numeri di questa newsletter, a 3 stagioni radiofoniche di Rights Now, alla decima edizione di Festival. E poi rassegne di film, libri, testimonianze, podcast. Non male, no? Tutto questo senza farvi spendere un solo euro. Vi propongo un patto. Semplice. Così come il nostro lavoro non vi costa nulla e vi dà tanto, il vostro 5 x 1000 non vi costa nulla e ci dà tanto. Prendete nota di questo numero 97918530151 e fatene buon uso quando compilate la prossima dichiarazione dei redditi. Grazie